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“La Storia”

Il Ragusano DOP è un formaggio a pasta filata ottenuto con il latte crudo di vacca, utilizzando attrezzature tradizionali. Viene prodotto in tutto il territorio della provincia di Ragusa e in alcuni centri della provincia di Siracusa, durante la stagione foraggera ovvero da novembre a maggio.  Storicamente denominato “caciocavallo ragusano” è uno dei prodotti caseari più antichi dell’isola e il suo nome deriva dall’usanza di asciugare le forme di formaggio a cavalcioni “a cavaddu” di un asse.   Formaggio dal sapore amabile e peculiare è stato oggetto sin dal XIV secolo di un fiorente commercio oltre i confini del Regno di Sicilia. Già nel 1515 Carmelo Trasselli, in “Ferdinando il Cattolico e Carlo V”, racconta di una “esenzione dai dazi” anche per il caciocavallo ragusano, pertanto già oggetto di notevole commercio.

Ancora il Trasselli, in “Note sui Ragusei in Sicilia”, riporta documenti del “Notaio Gaetano, F. 106” che riferisce ancora del commercio via nave del caciocavallo.  Nell’opera dell’abate Paolo Balsamo risalente al 1808 veniva sottolineata “la bontà dei bestiami di Modica” e dei “prodotti di cacio e ricotta, superiori di cinquanta per cento ai comuni, e di venticinque per cento ai migliori di Sicilia”. Ed ancora Filippo Garofano nel 1856 cita la fama e la squisitezza dei caci e delle ricotte del ragusano.  È un’eccellenza casearia che nel 1995 ha ottenuto la Denominazione di Origine e l’anno successivo ha acquisito il riconoscimento comunitario della DOP, perdendo la denominazione storica di “caciocavallo”.

“Il Prodotto”

Il formaggio Ragusano DOP presenta un aroma gradevole, caratteristico delle particolari procedure di produzione e un sapore decisamente gradevole, dal dolce vanigliato, poco piccante nei primi mesi di stagionatura (nei formaggi da tavola), tendente al piccante e al saporito con sentore di mandorla a stagionatura avanzata (nei formaggi da grattugia).  La forma tipica è quella di un parallelepipedo a sezione quadrata, con angoli smussati. È possibile riscontrare sulla superficie delle leggere insenature dovute al passaggio delle funi di sostegno utilizzate nel processo di stagionatura.  Ciascuna forma, il cui peso è di circa 16kg, presenta una crosta liscia, sottile, compatta e di colore giallo dorato o paglierino tendente al marrone con il protrarsi della stagionatura per i formaggi da grattugia. Lo spessore massimo è di 4 millimetri e può essere cappata con olio di oliva. La pasta ha una struttura compatta con eventuali fessurazioni che si riscontrano con il protrarsi della stagionatura talvolta unite a scarse occhiature, al taglio il colore si presenta bianco tendente al giallo paglierino, più o meno intenso.

“La Produzione”

Il latte destinato alla trasformazione del formaggio deve provenire da allevamenti ubicati nei territori dei comuni di: Acate, Chiaramonte Gulfi, Comiso, Giarratana, Ispica, Modica, Monterosso Almo, Pozzallo, Ragusa, S. Croce Camerina, Scicli e Vittoria, in provincia di Ragusa e dei comuni di Noto, Palazzolo Acreide e Rosolini, in provincia di Siracusa. Le bovine da cui deriva il latte devono essere alimentate prevalentemente con essenze spontanee ed erbai dell’altopiano Ibleo, eventualmente affienati. Il latte crudo di una o più mungiture viene filtrato e versato nella tina di legno, dove va aggiunto il caglio in pasta di agnello o di capretto e quindi riscaldato.  Avvenuta la coagulazione si procede, con l’ausilio della rotula, alla rottura della cagliata sino a ottenere granuli delle dimensioni medie di un chicco di riso. Completata la fase di rottura, la massa caseosa viene lasciata sedimentare nel fondo della tina.

In seguito, la tuma viene separata dal siero con l’ausilio di un mestolo “iaruozzu” e posta nelle “vascedde” (recipienti in legno o in plastica) dove si lascia drenare su un tavolo di legno “mastredda”, per circa 30 minuti.  Successivamente, la pasta tagliata a fette viene trattata con il liquido risultante dalla lavorazione della ricotta, coperta con un telo allo scopo di evitare bruschi abbassamenti della temperatura e lasciata riposare per circa 85 minuti. Completata la fase di cottura, la massa caseosa si lascia spurgare nelle vascedde e poi le varie fette di cagliata vengono stratificate una sopra l’altra nella mastredda dove si lasciano riposare per un tempo di circa 20 ore.

Trascorso il tempo necessario per il raffreddamento e l’ulteriore spurgo, la pasta viene tagliata a fette di circa 1 cm, posta in un recipiente di rame o di legno chiamato “staccio” e ricoperta con acqua calda. A questo punto la pasta viene lavorata con molta cura, con l’ausilio di un bastone di legno appiattito “manuvedda”, fino ad ottenere una forma sferica con la superficie esterna esente da smagliature. La sfera di formaggio ottenuta, ancora calda, va riposta nuovamente nella mastredda e pressata con tavole di legno “muolitu e cugni” e rivoltata continuamente, fino ad assumere la caratteristica forma parallelepipeda a sezione quadrata.

Il formaggio resterà nella mastredda 12-18 ore prima di essere immerso nelle apposite vasche di cemento per la salamoia. La salatura viene protratta per un tempo variabile in ragione delle dimensioni delle forme. La stagionatura, che va da un minimo di 3 a oltre 12 mesi, avviene in locali ventilati con temperatura ambiente di 14-16°C, legando le forme a coppia con sottili funi e ponendole a cavallo di appositi sostegni e, comunque, in modo tale da garantire una perfetta aerazione dell’intera superficie della forma. I locali di stagionatura vengono detti “maiazzè”: locali freschi, umidi e ventilati a volte interrati dove i formaggi a coppia vengono appesi a “cavallo” di una trave di legno legati con funi di “liama” o corde di “cannu”, di “zammarra” o di cotone. É prevista la cappatura con olio di oliva per i formaggi destinati a una prolungata stagionatura. Il prodotto può essere affumicato solo con procedimenti naturali e tradizionali, in tal caso la denominazione di origine deve essere seguita dalla dicitura “affumicata”.