Questo formaggio dal sapore amabile e peculiare è stato oggetto sin dal XIV secolo di un fiorente commercio oltre i confini del Regno di Sicilia. Già nel 1515 Carmelo Trasselli nell’opera Ferdinando il Cattolico e Carlo V racconta di una esenzione dai dazi anche per il caciocavallo ragusano, già oggetto di notevole commercio. Ancora il Trasselli, in “Note sui Ragusei in Sicilia”, riporta documenti del “Notaio Gaetano, F. 106” che riferisce ancora del commercio via nave del caciocavallo.

Nell’opera “Giornale del Viaggio in Sicilia” risalente al 1808, l’abate Paolo Balsamo sottolineava “la bontà dei bestiami di Modica” ed i prodotti di cacio e ricotta, superiori di cinquanta per cento ai comuni, e di venticinque per cento ai migliori di Sicilia. Ulteriori notizie storiche sul caciocavallo ragusano le troviamo nel 1856 nell’opera di Filippo Garofalo “Discorsi sopra l’antica e moderna Ragusa”, in cui sono citate la fama e la squisitezza dei caci e delle ricotte del Ragusano. Ed ancora l’antropologo Antonino Uccello nella sua opera “Bovari, Pecorai, Curatoli – Cultura Casearia in Sicilia” enumera le diverse tecniche di caseificazione dilungandosi su quelle relative al caciocavallo, di cui descrive sia le proprietà organolettiche, sia i modi d’impiego. Numerose ed ulteriori informazioni su questo formaggio possono essere assunte consultando altre pubblicazioni che indicherò in calce a questo articolo.

La produzione del Ragusano Dop, che segue i dettami previsti nel disciplinare, è oramai diffusa in tutto il mondo; il suo protocollo di lavorazione tradizionale non prevede aggiunta diretta di fermenti lattici perché le attrezzature impiegate per la trasformazione del latte crudo vaccino sono in legno e integrano l’apporto dei biofilm batterici contenuti.

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